LA NOSTRA STORIA
a cura di Riccardo Cammelli
La Camera del Lavoro di Prato fu istituita ufficialmente il 4 luglio 1897; la prima sezione, quella dei tipografi, era stata costituita il mese precedente. Successivamente, in poche settimane si costituirono altre sezioni. Al V congresso delle Camere del Lavoro che si tenne a Piacenza il 22 agosto 1897 la Camera di Prato aderì con 12 sezioni e 1.200 iscritti.
Nel novembre successivo fu inaugurata la prima sede: era posta nel vecchio centro storico (al n. 205 della via Garibaldi di allora). Alla cerimonia parteciparono molte autorità civili e, curiosamente, la loggia massonica di Prato insieme al circolo Santa Caterina de’ Ricci, a testimonianza del fatto che la nuova istituzione non aveva ancora assunto la precisa connotazione politica che la caratterizzerà negli anni successivi, cioè di vicinanza al movimento operaio, anarchico, socialista, repubblicano.
Il primo segretario della Camera del Lavoro di Prato fu Giulio Braga, uno stipettaio anarchico di origine ferrarese. Braga aderirà più avanti al socialismo, dapprima massimalista e poi riformista, e diventerà dirigente nazionale del sindacato dei pastai (arte bianca) della Cgil e morirà in seguito alle percosse subite dai fascisti.
I moti del 1898, con la proclamazione dello stato d’assedio, misero a repentaglio la vita della giovane organizzazione, costringendo Giulio Braga a riparare in Francia. Solo con l’inizio del nuovo secolo la Camera del Lavoro poté riprendere a svilupparsi, sotto la direzione di Giocondo Papi, cui succedette Pompeo Ciotti, Giulio Braga, Augusto Dragoni e poi di nuovo Braga.
Non fu facile per la Camera del Lavoro radicarsi nella realtà produttiva di Prato e circondario, benché si registrasse una costante crescita di consensi, a partire dal 1906, quando l’organizzazione pratese aderì alla neonata CGIL. La ridotta dimensione delle imprese tessili e la pratica di trovare accordi economici tra maestranze e datori di lavoro relegarono l’organizzazione sindacale a un ruolo marginale, almeno fino alla fine del secondo decennio del XX secolo, quando scoppiò il “Biennio rosso”, ci furono scioperi, occupazioni e la proclamazione della repubblica socialista nella Valle del Bisenzio.
Dirigenti di grande prestigio, oltre a quelli già citati, in tale periodo, furono Battista Tettamanzi, Assuero Vanni e Teresa Meroni.
L’avvento del Fascismo cancellò rapidamente qualsiasi organizzazione politica e sindacale di tipo democratico, dunque anche la Camera del Lavoro fu sciolta e i suoi dirigenti ridotti al silenzio, quando non furono costretti all’esilio.
Alla fine dell’agosto 1943, con decreto del Governo Badoglio, la Camera del Lavoro di Prato fu ricostituita e ne fu nominato segretario il comunista Alberto Torricini. Ma la nascita della Repubblica di Salò, l’occupazione nazista e la divisione dell’Italia tra due Alleanze che combattevano una guerra feroce, fecero sì che la vera attività sindacale riprendesse solo dopo la Liberazione, verso la fine del 1944.
Ben presto il sindacato pratese si caratterizzò come uno dei più importanti centri di organizzazione dei lavoratori tessili aderenti alla CGIL, sotto la sigla Fiot (Federazione impiegati e operai tessili) che diventerà Filtea alcuni lustri più avanti, quando raggrupperà anche i lavoratori dell’abbigliamento e del calzaturiero. Nonostante la Camera del Lavoro di Prato avesse conquistato autonomia congressuale solo dopo la riforma di Montesilvano (fine anni Settanta del secolo scorso), l’organizzazione dei lavoratori tessili pratesi ha sempre goduto di autonomia congressuale e dignità di sindacato provinciale.
Tra la fine degli anni Quaranta e la prima metà del decennio successivo, Prato fu al centro di un grande scontro sociale, alla fine del quale nacque il distretto tessile: gli imprenditori smobilitarono le azienda a ciclo completo, determinando lo sviluppo del decentramento produttivo e la nascita della figura del lavoratore in conto terzi, che solo alla fine degli anni Cinquanta poté essere inquadrato come artigiano. La forza del sindacato pratese rimase comunque notevole e tale è giunta fino ai giorni nostri, nonostante le divisioni (nascita di Cisl e Uil) e la difficoltà oggettiva di vedere espulsi dal sistema produttivo i migliori quadri dirigenti aziendali.
Il dopoguerra vide all’opera dirigenti di antica tradizione, come il citato Assuero Vanni, ma emersero anche dirigenti di nuova generazione, come Radio Mattacchioni e Luigi Bonistalli, fino ai giovanissimi, come Bruno Fattori, Fosco Bettarini, Mauro Ribelli, Fiorenzo Fiondi, Pietro Vannucci, Luigi Ciasullo e Vieri Bongini.